mercoledì 25 febbraio 2015

Beer Attraction, parte prima: sulle rive del Lago di Garda

Naturalmente non potevo mancare al Beer Attraction, l'evento alla Fiera di Rimini dedicati ai piccoli - e meno piccoli, dato che ce n'era anche qualcuno di dimensioni ragguardevoli - birrifici indipendennti: e tenendo conto che gli espositori superavano il centinaio, ce n'era davvero per tutti i gusti, tanto che ho necessariamente dovutoo fare una selezione drastica di quelli da visitare e privilegiare i nomi che ancora non conoscevo - chiedendo scusa ai vecchi amici.

La prima nuova conoscenza che ho fatto è stata il birrificio Benaco 70 di Affi (Verona), dall'antico nome del Lago di Garda su cui affaccia: lì due anni fa Riccardo e Erica (che vedete nella foto di renato Vettorato) hanno "trasformato la loro passione in un progetto imprenditoriale", per dirla con le loro parole, e attualmente viaggiano al ritmo di ua trentina di cotte da 30 hl ogni anno. Il loro parco birre comprende una helles, una blanche, una porter, una kolsch, una strong bitter, una Ipa e una "honey ale " - altresì detta "belgian strong ale al miele" -, ed è stato queste ultime tre che ho avuto il piacere di assaggiare, mentre mi venivano illustrate con passione dall'enologa e dal tecnico informatico prestati all'arte del brassare.

La strong bitter in particolare mi era stata presentata da Riccardo come una delle loro punte di diamante per la sua particolarità, e il "pezzo" più rappresentativo di casa benaco 70; e in effetti devo riconoscere che il malto torrefatto - con note di caramello, di nocciola e di biscotto - risalta in maniera assai peculiare all'aroma, e nel corpo si bilancia molto bene con l'amaro non troppo pungente dei luppoli inglesi risultando più delicata ma al tempo stesso più piena e rotonda rispetto alle bitter canoniche. Una caratteristica che ho apprezzato, dato che a livello di gusti personali preferisco non eccedere con l'amaro.

E sempre nel solco della tradizione britannica rimane la Ipa, che, pur usando luppoli americani, il Benaco brassa senza dry hopping come nell'antica tradizione inglese: il risultato è una Ipa meno aromatica e più amara - dato che comunque i nostri sembrano non risparmiare sul luppolo -, su cui anche all'aroma risalta assai di più l'acre dell'erbaceo che il pungente dell'agrumato. Anche la persistenza ben lunga e decisa è nettamente amara, per cui farà la felicità dei palati forti - nota per gli intenditori: stiamo parlando di 60 Ibu; nonché di chi ritiene che, nel marasma attuale delle Ipa, sia necessario evitare certi eccessi aromatici e ritornare alle origini.

Da ultimo ho assaggiato la Honey Ale, verso la quale ammetto di essere stata un po' prevenuta: difficile fare una buona birra al miele senza risultare stucchevoli, e in effetti non me ne sono capitate sotto mano - o meglio, in bocca - moltissime che soddisfacessero questo requisito. In realtà è stata alla fine quella che più mi ha colpita tra le birre del Benaco: non solo l'aroma intenso di miele di castagno - e quindi già di per sé non troppo dolce - incuriosisce già ancor prima di assaggiarla, ma il corpo caldo e dolce - ottima la fusione tra il miele di castagno e il caramellato del malto - lascia subito spazio ad un finale secco e amaro, che lascia la bocca soprendentemente fresca e pulita per una birra di questo genere. Una delle poche birre al miele di cuisi potrebbe bere una pinta senza stufarsi insomma, e occhio ai sette gradi e mezzo di alcol.

Al di là del gusto personale, lo definirei un birrificio che mi ha soddisfatta per la cura dedicata alle proprie creazioni non solo in fase di produzione, ma anche di illustrazione: dalle spiegazioni di Riccardo ed Erica traspariva infatti una conoscenza approfondita dei loro prodotti, evidentemente causa ed effetto allo stesso tempo dell'attenzione che vi riservano.

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