martedì 27 maggio 2014

La prima cotta non si scorda mai

No, non sto parlando di amori adolescenziali; ma del terzo giorno del corso tecnico gestionale per imprenditori della birra dell'Università di Udine, unica in italia ad organizzare simili iniziative. Mente pensante del tutto è il prof. Buiatti, per iniziativa del quale sin dal 2002 l'ateneo ha affiancato al corso di tecnologia della birra - anche questo una peculiarità - un impianto sperimentale: ed è lì che esce la Cerevisia, la birra dell'Università, e che sabato 24 maggio i partecipanti al corso hanno provato a fare la loro prima cotta. Che, per definizione, di solito non riesce bene: ma questa volta era sotto l'assistenza di Buiatti, del mastro birraio Stefano Bertoli e del tecnologo alimentare Paolo Passaghe, per cui a fine giugno ho fiducia di assaggiare una birra degna di questo nome.

Se Teo Musso aveva insistito sul fatto che "la birra è un prodotto della terra", oggi abbiamo avuto modo di rendercene conto: il primo passo è stato infatti quello di macinare l'orzo maltato - "Non troppo sottile, mi raccomando, sennò poi vi esce un pastone". Orzo che siamo poi andati a versare nel tino di ammostamento, armandoci di santa pazienza per aspettare che gli enzimi facessro il loro lavoro di degradazione dell'amido. Già perché ho dovuto imparare a destreggiarmi tra alfa e beta amilasi, destrine e maltosio, zuccheri fermentescibili e non: insomma, una gran confusione, almeno per me che di chimica ho solo un pallidissimo ricordo risalente ai tempi del liceo.

Trascorsa l'ora e mezza necessaria, abbiamo fatto passare il mosto nel tino di bollitura. Mosto che il prof Buiatti ci ha invitati ad assaggiare, "per rendervi conto di quanto sia dolce e di come gli enzimi abbiano prodotto maltosio, che è uno zucchero". Il fatto che chi già aveva avuto occasione di assaggiarlo in passato declinasse gentilmente l'offerta avrebbe dovuto farmi sorgere qualche dubbio: e infatti, mi spiace dirlo, ma era proprio disgustoso, e anche l'odore non era esattamente gradevole.Vabbè, se la birra va bevuta dopo la fermentazione e la maturazione, un motivo ci sarà.

Mentre il mosto raggiungeva il punto di ebollizione, il professore ha chiesto "un volontario che si rimboccasse letteralmente le maniche": il lavoro da fare era quello di svuotare il primo tank dal macinato, che per quanto si riesca in buona parte a far uscire dalla botola, rimane in altrettanto buona parte sul fondo. Il ragazzo in questione sembrava pure divertirsi nell'immergere le mani fino al gomito in quel pastone: d'altronde, c'è un po' di bambino in tutti noi. Intanto era ormai giunta l'ora di fare la prima delle due gettate di luppolo, all'inizio dei 60 minuti di bollitura. "E deve essere assolutamente una donna - si è raccomandato il buon Paolo Passaghe -: altrimenti la birra non viene bene. Lo giuro, non è superstizione". Così, dato che di donne - manco a farlo apposta - eravamo solo in due, la prima gettata l'ho fatta io, mentre ad Alessandra è toccata la seconda 5 minuti prima della fine della bollitura. La ragione è che il luppolo della seconda gettata rimane molto più presente poi all'aroma e al gusto finale, per cui conferisce alla birra le note caratteristiche del tipo specifico di luppolo - o luppoli - che si vuole utilizzare.

A quel punto non rimava che, passatemi l'espressione, "mettere tutto in fermento": trasferito il mosto nel fermentatore, Paolo ha gettato la mistura di lievito - questo sì dall'odore davvero insopportabile - e sigillare il tutto. Il lavoro della giornata, a quel punto, era finito. "Neanche per idea - ci ha bloccati il professor Buiatti - adesso c'è da pulire tutto". Pompe dell'acqua, scope e ramazze alla mano, siamo così stati di corvé ancora per un po'. Di solito mentre faccio lavori manuali rifletto: ma stavolta c'era ben poco su cui riflettere. Perché se c'è una cosa che ho capito, è che è impossibile trovare non dico una formula matematica, ma quantomeno una relazione logica tra i vari passaggi del fare la birra. Credevo che il grado alcolico dipendesse dalla quantità di zuccheri fermentescibli? Si, no, beh, dipende che lievito usi. Credevo che l'amaro dipendesse dalla quantità e dal tipo di luppolo? Si, no, beh, dipende quando lo metti e da che macinato sei partita. Per calcolare la quantità di luppolo da gettare abbiamo usato una formula matematica, è sempre quella? Si, no, beh, dipende, devi provare che cosa ne esce. Insomma, c'è da uscirne pazzi, e come ha sottolineato Buiatti, "Anche se andate a prendervi gli stessi malti e gli stessi  luppoli della Pilsner Urquell, e usate esattamente gli stessi lieviti e lo stesso procedimento, non vi uscirà mai la Pilsner Urquell. Perché ogni cotta è a sé". Proprio come quelle amorose...

Un sincero grazie al prof. Buiatti e a tutto lo staff dell'Università per avermi ospitata, nonché ai corsisti per la piacevole compagnia!

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